Fieldwork

Eccone uno: Gheghe "il cinico” by Massimo Branca

Durante quei primi giorni di quarantena a Venezia, non era facile imbattersi in qualche forma di vita sociale e socievole. Le calli erano completamente vuote. Ogni tanto si poteva incontrare qualche coda di persone che, a distanza debita, attendevano il loro turno per entrare in farmacia o nei negozi di alimentari. Un solo luogo rompeva la regola del freddo distanziamento sociale: Campo San Giacomo. In tanti andava a fare la spesa nel supermercato vicino alla chiesa, ma anziché rimanere distaccate con la paranoia di contrarre la malattia, coglievano l’occasione per scambiare due parole. Alcuni venivano anche da altri sestieri, tanto piacevole era l’atmosfera, soprattutto se paragonata alle zone più celebri, costantemente controllare da polizia e carabinieri. Ad essere sincero, tra i Veneziani che ho conosciuto, il timore di una multa salata per “deambulazione illecita” era più grande della paura di prendere il virus.

Oltre alle persone che andavano e venivano dalla piazzetta, c’era un uomo che sostava costantemente su una delle panchine rosse… era Gheghe, un barbone (così si autodefinisce) di origine tedesco-olandese, che da 40 anni vive a Venezia. Aveva sempre una radiolina accesa, con cui ascoltava i brani della sua playlist. Niente male la musica, infatti fu proprio quello il motivo del primo scambio di parole. Nei giorni imparai a conoscerlo meglio, scoprendo parte dei lati meno evidenti della sua persona. Ad esempio del fatto che prima di fare il ‘barbone’ faceva il pittore. In internet si trovano anche le foto del vernissage della sua ultima mostra personale alla Giudecca. Un pittore di talento insomma, con un bagaglio culturale non indifferente.

Le frasi tipiche di Gheghe erano: “Ciao mo’”, “vai dove ti porta il cuore”, “italiani, svegliatevi!” e infine “etciù”, una evidente provocazione tesa a smascherare lo stato di terrore diffuso dai media verso ogni forma di sintomo da Covid19, starnuto incluso. Aveva sempre in tasca un libro con antichi testi della filosofia indiana. Nella sua borsetta della biennale (Time Space Existence) teneva vino bianco in cartone, un barattolo di fagioli e un pacchetto di biscotti per i suoi piccioni. Tutti lo conoscevano a San Giacomo, e molti si fermavano a fare due chiacchiere con lui.

In passato mi ero già interessato alla questione dei senzatetto e dell’esclusione sociale. Durante il periodo dell’emergenza, come tanti altri, mi ero chiesto cosa ne sarebbe stato di coloro che, obbligati dal decreto a stare chiusi dentro casa, non avevano una casa dove stare. Ma come capita in molti casi, quando si comincia ad approfondire l’indagine di una realtà, il tema generico (in questo caso quello degli homeless) tende a passare in secondo piano, mentre le persone conosciute diventano i veri protagonisti. Immagino che questa sia la grande differenza tra un approccio di ricerca quantitativo (basato sull’analisi di dati statistici) ed uno qualitativo (basato sull’interazione diretta e poco strutturata). Sono contento di aver incontrato Gheghe. Una persona ai margini, eppure con tanti amici che si interessano di lui e gli vogliono bene. Non certo un esempio di successo nella società contemporanea, ma comunque una delle persone più coerenti che ho incontrato, con una grande capacità di pensiero e analisi critica.
In fondo nemmeno il cinico Diogene se la passava benissimo nell’Atene dei suoi tempi.

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Alla ricerca di 'esseri umani' by Raafia Jessa

Il silenzio era riempito solo da alcune voci provenienti dalle finestre aperte o dalle altane dove, in quelle belle giornate di sole, le persone che potevano si mettevano a prendere aria.
(Nota: durante la quarantena ci sono state magnifiche giornate di sole, una temperatura perfetta. Oggi, a giugno, nella fase 3, le previsioni dicono pioggia quasi costante almeno per una settimana.)

Me ne vado a zonzo, a esplorare gli spazi vuoti, in cerca di spunti interessanti. Per me, che sono abituato a occuparmi di realtà umane, una situazione del genere è a dir poco spiazzante. Ho bisogno dell’elemento umano, ma durante le mie passeggiate faccio fatica a incontrare anima viva. Solo pochi piccioni e gabbiani (senza le persone anche loro sono rimasti senza viveri), gli addetti alla pulizia e svariati poliziotti, carabinieri e soldati dell’esercito, che pattugliano alla ricerca di trasgressori. Un periodo gioioso per loro, liberi di girare indisturbati, spesso senza mascherine e senza mantenere le cosiddette distanze di sicurezza. Per noia o per senso del dovere, ogni tanto dispensano multe a chi se le merita. A volte anche a chi non le merita molto...

Gheghe per esempio è stato multato in tutto quattro volte. La prima volta, quella che ricorda più col sorriso, il verbale che i quattro vigili hanno compilato diceva: “un essere umano, seduto su una panchina, prende il sole”. Ecco Gheghe, uno dei primi ‘esseri umani’ con cui ho fatto amicizia.

Venezia in quarantena by Raafia Jessa

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[…] Questi ed altri piani sono saltati con l’arrivo della ‘pandemia Covid19’. Già a fine febbraio la gran parte delle attività culturali erano state interrotte, visto che rappresentavano un rischio contagio del virus.

Ho deciso così di esplorare Venezia, vista e fotografata tante volte nel pieno del suo flusso turistico, per una volta, inaspettatamente senza persone. Sono arrivato con l’idea di documentare la quarantena e la condizione surreale di una città museo senza visitatori. Poi, chissà quando, osservare la lenta ripartenza dei veneziani, senza l’inondazione dei 60mila turisti quotidiani.

Quando sono arrivato, Venezia era completamente vuota.

I primi giorni ho avuto la possibilità di osservare una Venezia magica ed inquietante. La sensazione surreale di trovarsi solo, o quasi, in una città che normalmente è occupata da migliaia di visitatori è difficile da descrivere, e anche da rappresentare in foto. Il fatto è che ci si adatta velocemente, e in men che non si dica la visione di quegli spazi vuoti era diventata quasi normale.

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